Don Luca Ramello, parroco influencer: «Da Facebook a Tik Tok, tutto pur di parlare ai giovani» (2024)

diNicolò fa*gone La Zita

Il sacerdote di San Mauro Torinese manda online la messa e promuove i talent:«Porto all’oratorio bimbi cristiani e musulmani»

Tik Tok, Instagram, Facebook. Don Luca Ramello, parroco di San Mauro Torinese, li usa tutti. Si è insediato a ottobre 2023 e si è fatto subito notare per quella che potremmo ribattezzare come una sorta di «evangelizzazione digitale». Il prete balla, canta, si traveste da Star Wars, insomma le prova tutte per porre fine alla cosiddetta «crisi delle vocazioni» e riavvicinare una generazione, quella dei giovanissimi, che sembra essere sempre più lontana dalla chiesa.

I suoi video sui social continuano ad impazzare e toccano vette altissime: dalle 10 mila alle 50 mila visualizzazioni. Originario di Carmagnola, don Luca ha frequentato la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, il Real Collegio Carlo Alberto e poi ha completato gli studi alla Pontifical Lateran University. Prima dell’arrivo a San Mauro, dal settembre 2012 all’agosto scorso, ha ricoperto l’incarico di direttore dell’Ufficio della Pastorale Giovanile, ed è stato assistente del Settore Giovani dell’Azione Cattolica nell’Arcidiocesi di Torino.

Di recente è anche diventato presidente nazionale di Noi Associazione, il cui scopo è quello di promuovere l’importanza degli oratori. E che non fosse un sacerdote «tradizionale», lo si era capito fin da subito.

Lo scorso 7 ottobre, per il nuovo incarico, ha deciso di pubblicare una diretta della sua cerimonia di ingresso nella comunità sanmaurese, un vero e proprio «film» con tanto di riprese dall’alto. Per non parlare della grande festa di apertura dell’oratorio del 28 ottobre quando, per promuovere l’evento, si è affidato alla saggezza di Yoda, il cavaliere Jedi di Guerre stellari. «Abbiamo 300 bambini iscritti, 200 genitori, è una cosa seria, vi aspettiamo», annunciava su TikTok, interrompendo un duello con le spade laser. Nei suoi video virali non manca mai l’ironia, ma ci sono anche quelli più «seri» dove descrive le bellezze del territorio, o presenta le riprese delle messe. Tutto, pur di avvicinare i giovani alla fede.

Don Luca, molti la definiscono un sacerdote influencer. Come è nata l’idea di utilizzare i social? Si aspettava tutto questo successo?

«Abbiamo aperto i diversi canali per poter comunicare con tutti. Gli anziani usano Facebook, i giovani Instagram, i giovanissimi Tik Tok. E la risposta è stata sorprendente. Abbiamo fatto anche il “San Mauro’s got talent”, dove abbiamo lanciato un progetto e raccolto idee e disponibilità. Il riscontro è stato incredibile, ora tocca a noi strutturare e mettere radici».

Lei fa sembrare tutto molto semplice. Oggi il dialogo intergenerazionale è sempre più complesso e lei appare come un caso piuttosto raro. Ne è consapevole?

«In realtà è tutto un po’ diverso da quello che si vede esternamente. Io continuo ad essere me stesso, con una differenza: sono diventato parroco, quindi il rapporto che avevo con i giovani è aumentato ulteriormente, grazie alle dinamiche legate alla parrocchia e agli altri incarichi. Questo ha permesso una relazione più stretta, così ho pensato di condividere sui social quello che avviene nella realtà. Ai più colpiscono le visualizzazioni, ma ritengo che ai ragazzi colpisca di più il contenuto, che non è necessariamente leggero, anche se non mancano i reel simpatici. Occorre saper mixare. Il segreto di questo successo è semplice: condivido un’esperienza reale di amore e di amicizia, affrontando anche i temi forti della vita».

La Chiesa deve necessariamente utilizzare nuovi linguaggi per intercettare le giovani generazioni?

«Credo di sì, e con una battuta dico che la Chiesa è stata la prima realtà globalizzata. Lo stesso Spirito Santo ha concesso agli apostoli di parlare in tutte le lingue del mondo, la comunicazione è intrinseca alla natura della Chiesa. Da sempre questa è attenta alle varie forme per comunicare, che non sono mai neutrali, cercando quelle che meglio esprimono e permettono di diffondere i messaggi della fede e del Vangelo. Pensiamo, guardando alla storia recente, a Don Giovanni Bosco, che fu molto attento a quelli che noi oggi chiameremmo media, che in quel caso era la carta stampata. Per questo ciò che faccio non ritengo sia nulla di nuovo. I mezzi di comunicazione sono modi di vivere l’esistenza da parte delle persone. Non solo dei giovani, ma lo stesso vale per adulti e anziani, che ormai sono altrettanto social».

Quindi lei crede di percorrere una strada già tracciata?

«Tutto questo fa parte della logica dell’Incarnazione. Il figlio di Dio si è fatto uomo e ha assunto l’umano, dunque dove c’è l’umano deve essere presente anche la Chiesa. Non si tratta solo di “intercettare”, ma di avere un rapporto, di condividere, di entrare in relazione con le persone. Se si applica una logica puramente strumentale, si fa un buco nell’acqua. Anzi, i giovani si allontanano. Non si tratta solo di comunicare attraverso i social per utilizzare il loro linguaggio, ma di stargli vicino sia online sia offline, oppure, come si usa dire oggi, “onlife”. E non conta tanto la modalità, come fosse una strategia, ma una relazione di vita vera e autentica che inglobi anche questa dimensione».

Don Luca Ramello, parroco influencer: «Da Facebook a Tik Tok, tutto pur di parlare ai giovani» (2)

Quali sono i metodi che consiglierebbe ai suoi «colleghi» o a chi vuole parlare efficacemente ai giovani?

«Il vero metodo che sto mettendo in atto con semplicità e passione è l’oratorio. Non è il vagone del treno, ma la locomotiva stessa di una parrocchia, capace di coinvolgere e unire giovani e anziani. L’oratorio permette di essere comunità cristiana, aperta a tutti, è confessionale e feconda il rapporto con la città e il territorio, come fosse un ponte. Richiede tanta passione e impegno, ma è uno stile educativo che mette al centro la persona ed è capace di far vivere ai protagonisti una vita piena attraverso il dono reciproco. Un oratorio oggi deve lavorare molto sulla dimensione interculturale e interreligiosa, di inclusione, mettendo insieme bambini cristiani e di fede musulmana. La barca della Chiesa non è fatta per stare in porto e condividere significa custodire. Se riusciamo a coinvolgere i giovani, in un periodo di crisi delle vocazioni, garantiamo un futuro alla fede, e se loro si entusiasmano sono capaci di rinnovare un’intera comunità».

Cosa pensano i giovani delle guerre esplose alle porte dell’Europa?

«Da una parte vedono le guerre con un certo stupore, come qualcosa di inconcepibile, dall’altra purtroppo nascono già in questa realtà, ed è come se si fossero già abituati, e questo è un rischio enorme. Io sono scandalizzato dalle guerre che si stanno scatenando, loro meno, quasi fossero assuefatti dal rinvigorimento dei conflitti e del terrorismo di questo tempo. Di certo non ci arrendiamoci a questo, e cerchiamo di educare i ragazzi alla pace. Insegniamo che non è normale, che stiamo tornando indietro. I ragazzi devono capire che i loro coetanei lì non solo non hanno l’oratorio, ma non hanno più nemmeno una casa. In questo senso ci deve essere un accompagnamento, è importante che i nostri ragazzi aprano gli occhi e si rendano conto della gravità del contesto. Il male più grande oggi è l’indifferenza».

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20 maggio 2024 ( modifica il 20 maggio 2024 | 11:14)

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